Ventidue donne tamil e iraniane hanno marciato da Melbourne a Canberra, percorrendo a piedi in meno di un mese – dal 22 settembre al 18 ottobre – 640 chilometri. Uno sforzo per loro necessario e “trascurabile” rispetto al limbo in cui sono intrappolate in Australia da undici anni assieme ad altri 10mila richiedenti asilo. L’ultima tappa è stata davanti al Parlamento australiano, dove hanno chiesto un visto permanente per tutti i profughi scappati da guerre, persecuzioni, estrema insicurezza. Chissà se riceveranno una risposta.
Ma in Australia come è potuto accadere che non sia stato assegnato lo status di rifugiato a migliaia di persone che ne avevano diritto? E perché poi, dal 2018 a oggi, quasi tutti i profughi sono stati trasferiti sul territorio australiano e i campi offshore in altri Stati del Pacifico sono stati chiusi?
Innanzitutto, è stato violato il diritto internazionale e negata la Convenzione di Ginevra sui Rifugiati. Per 20 anni i governi australiani hanno adottato il modello offshore con campi in PNG-Papua Nuova Guinea (Manus Island) e nella repubblica di Nauru. Ma questa politica migratoria è costata moltissimo. Dopo aver speso 1 miliardo di dollari l’anno (più 40 milioni dati alla Cambogia per il trasferimento di solamente 7 persone) ed essere stati sommersi dagli appelli della società civile, Canberra ha dovuto spostare quasi tutti gli esuli sul suolo australiano. Le condizioni nei campi erano terribili, come mi ha raccontato in un’intervista esclusiva Behrouz Boochani, scrittore curdo-iraniano di “Nessun amico se non le montagne”. I bambini soffrivano di gravi depressioni.
E ora chi è arrivato con i barconi – come le donne in marcia – deve fronteggiare un incubo burocratico e condizioni estremamente precarie. Un piccolo gruppo di disperati e malati è rimasto a Port Moresby, capitale della PNG. Gli attivisti denunciano una discriminazione fra i profughi che arrivano in aereo e i più poveri che hanno dovuto rischiare la vita sulle barche. Si può dire che il modello australiano ha funzionato malissimo, tra abusi, spese stellari e migliaia di situazioni irrisolte.
L’articolo integrale con le testimonianze dal posto su Atlante Treccani