Nei quartieri più poveri di Yangon, in palafitte pericolanti e baracche dai tetti in lamiera, la popolazione è allo stremo. Dopo il golpe militare del primo febbraio manca tutto: lavoro, medicine, cibo. Una gravissima crisi alimentare potrebbe estendersi alle zone più vulnerabili del Myanmar, non solo nella capitale di un tempo, ma anche in aree rurali dove si consumano o si sono riaccesi i conflitti armati fra guerriglie di minoranze etniche autonomiste e l’esercito birmano. Già 400mila persone hanno bisogno di assistenza nelle regioni Chin, Kachin, Rakhine e Shan.
Milioni di persone rischiano la fame: “Un milione e mezzo fra tre mesi che possono aumentare a tre milioni e 400mila entro sei”, denuncia il World Food Programme in un rapporto dettagliato. Il colpo di stato guidato dal generale Min Aung Hlaing, con il supporto dell’ex vicepresidente Myint Swe (ora presidente), si è aggiunto a una povertà dilagante e alla pandemia da Covid-19, sconvolgendo e bloccando ogni settore pubblico e privato. Il 90% degli uffici statali è inattivo. Molte fabbriche, soprattutto manifatturiere di tessuti, abbigliamento, accessori, hanno interrotto la produzione. I treni non partono, i camion restano parcheggiati. Le merci giacciono in dogane e porti quasi deserti. Circa 2mila banche private hanno chiuso i battenti.
Gran parte dei lavoratori birmani ha deciso di usare lo sciopero come arma di pressione contro il regime, col rischio di restare senza impiego, abbracciando così una misura estrema con cui altri civili – in contesti storici diversi – hanno sfidato le dittature. Si tratta di un mezzo dettato dalla disperazione, che paralizza tutto ma coglie spesso di sorpresa i despoti.
Allo stesso tempo, fonti birmane rivelano che nelle principali città, da Yangon a Mandalay, domina il panico. Finora il Tatmadaw, l’esercito birmano, ha ucciso più di 700 civili, tra i quali una cinquantina di bambini. Non solo per chi protesta, ma anche per i lavoratori uscire di casa è diventato mortale. L’impiegata di una banca sudcoreana è stata uccisa da un cecchino mentre cercava di raggiungere il suo ufficio. I militari hanno occupato e trasformato in loro basi gli ospedali statali, le pagode e le scuole chiuse per il coronavirus. E sparano in modo indiscriminato, ad altezza-uomo contro chiunque: manifestanti, passanti, bambini che giocano all’aperto. Entrano nelle case degli oppositori politici o di famiglie scelte a caso per diffondere il terrore.
In questa situazione di caos sanguinario e insicurezza generale, la Banca Mondiale ha calcolato che nel 2021 il PIL del Myanmar subirà una contrazione del 10%. Non è poco in un Paese che prima della pandemia contava, su 55 milioni di abitanti, un quarto di poveri e un terzo “a rischio povertà”. Secondo l’International Labour Organization, l’anno scorso il Covid-19 e le misure di contenimento avevano generato oltre 3 milioni di disoccupati, ai quali si aggiungono quelli (per ora incalcolabili) di questi mesi.
L’interruzione dei flussi bancari ha accresciuto il pericolo per la popolazione di sprofondare nella miseria o addirittura nella fame. Le rimesse inviate dalla diaspora di 4 milioni di birmani all’estero (residenti soprattutto in Thailandia e Malesia) costituiscono un introito irrinunciabile per milioni di persone. E l’impossibilità di accedere al micro-credito, a cui ricorrono i piccoli proprietari terrieri che gestiscono l’80% di fattorie e piantagioni locali, potrebbe avere un impatto devastante. La tempistica del golpe, inoltre, è stata completamente sfavorevole al settore agricolo, perché a ridosso della raccolta di metà marzo del riso, principale alimento della dieta birmana.
Considerando “soltanto” la conseguenza del tracollo economico, il colpo di stato appare del tutto insensato, come scrive la giornalista birmana premio Pulitzer, Aye Min Thant, nell’articolo “Myanmar: the stupid coup” sull’edizione internazionale di “The New Lens”. I militari golpisti discendono da quelli che negli anni ’70 e ’80 svalutarono alcune banconote su consiglio di un astrologo. Per un’illusione occidentale qualcuno ha pensato che la nuova generazione di generali (comunque piuttosto anziana) potesse emanciparsi da chi l’aveva generata perché aveva studiato in Europa o negli Stati Uniti. Il golpe non era previsto, ma poteva essere compiuto in ogni momento. Con quale scopo? Quello tutto interno di esercitare il potere, non di controllarlo. In base alla costituzione del 2008, i militari erano legittimati a fare tutto ciò che desideravano, anche dopo le elezioni dello scorso novembre vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi.
Il golpe potrebbe condurre rapidamente verso il collasso dello Stato birmano. Ha ragione il corrispondente dal Myanmar, Richard Horsey, dell’International Crisis Group nella sua relazione al Consiglio di Sicurezza Onu. Da febbraio, la moneta locale kyat ha perso il 6.5% del suo valore rispetto al dollaro USA. E l’inflazione continua a salire. I prezzi di riso e olio sono aumentati rispettivamente del 5% e del 18%, e anche del doppio nelle regioni delle minoranze etniche. Il prezzo della benzina è cresciuto del 20%. E gli investimenti esteri dovrebbero calare di un quinto da adesso al 2022.
Se non si ferma questa implosione, la crisi sanitaria avrà ripercussioni sull’intera popolazione. Nel mezzo della pandemia, i soldati hanno sparato alle ambulanze della Croce Rossa, occupato gli ospedali pubblici, cacciato pazienti e operatori sanitari. I medici che cercavano di assistere i feriti durante le proteste anti-regime sono stati aggrediti e minacciati. Alcuni di loro si sono rifiutati di lavorare per le truppe. Test e trattamenti contro il Covid-19 sono saltati. Il piano vaccinale con AstraZeneca, prodotto nella vicina India, è stato interrotto, così come il conteggio degli infetti e le altre cure contro il cancro e le piaghe di HIV e tubercolosi che stavano registrando progressi. L’Unicef riporta che la campagna di immunizzazione per un milione di bambini è sospesa e che 5 milioni di loro necessitano di un apporto di vitamina A per evitare infezioni gravi o addirittura la cecità. Ecco perché un’epidemiologa di Yangon, sul quotidiano fondato da ex esuli Mizzima, definisce il golpe “semplicemente inaccettabile”.
Se il centro non reggerà fioriranno ancor più i mercati illegali – in cima quello dell’oppio, dell’eroina e delle droghe sintetiche – rimasti floridi anche negli ultimi dieci anni di “transizione verso la democrazia”. La stessa giunta non è in grado di controllare l’economia criminale, ma è più propensa a trattare con essa.
Nel frattempo, il Tatmadaw sta bombardando territori abitati da popolazioni Kachin e Karen. Altra conseguenza del golpe: l’aumento dei conflitti. Gli accordi di cessate il fuoco firmati a partire dal 2011 stanno per essere vanificati. Alle venti guerriglie autonomiste storiche, se ne stanno aggiungendo altre, contro un esercito governativo che gode dell’appoggio di diverse centinaia di milizie. Le minoranze ribadiscono che la guerra civile in Myanmar c’è dal 1962, quando si è insediata la prima giunta militare. Ma ora rischia di estendersi alle città, con l’arruolamento dei civili della maggioranza Bamar in nuovi gruppi armati.
Laddove il nazionalismo etnico-religioso (buddista) è fortemente radicato, non è ancora certo se minoranze e Bamar si uniranno in modo efficace contro il regime. Per alcuni il golpe potrebbe aver avuto indirettamente l’effetto positivo di compattare l’opposizione politica e renderla più inclusiva. Il CEO di Fortify Rights, Matthew Smith è speranzoso: “Rispetto alla rivoluzione del 1988, i giovani sono più informati, hanno un’idea di libertà e conoscono il potere delle nuove tecnologie. Stanno capendo che i militari hanno mentito, anche sui musulmani Rohingya. E chiedono non delle riforme, ma un cambiamento più profondo, rivoluzionario”. Questa speranza è offuscata, però, dai nuovi profughi (di varie etnie) che stanno scappando nei paesi confinanti, Thailandia, India, Bangladesh. I Rohingya – dei quali Fortify Rights ha fornito le prove del “genocidio” – temono nuove aggressioni in patria o di essere rimandati indietro, se rifugiati all’estero.
Il Governo di Unità Nazionale, formato dai membri eletti lo scorso novembre, non è stato ancora riconosciuto dalla comunità internazionale, che anzi continua a dialogare con i golpisti. Lo scenario peggiore è che un regime che massacra, affama e compie ogni tipo di abuso sulla sua popolazione venga tollerato. Questa volta, non dobbiamo aspettare 20 anni – come accadde per il regime cambogiano dei Khmer Rossi – per giungere a una condanna globale.