Intervista a Phil Robertson, vice direttore per l’Asia di Human Rights Watch
Continua il braccio di ferro tra repressione militare e resistenza sia armata sia pacifica. Ma la giunta, che ha preso il potere con un colpo di Stato lo scorso 1° febbraio, sta facendo affondare il Myanmar. Abusi di ogni tipo. Focolai di guerra accesi in ogni regione. Torture. Più di 1.300 morti, molti bambini, e 10.600 detenuti politici. E l’ex leader de facto Aung San Suu Kyi che, pur avendo vinto le elezioni nel novembre del 2020, rischia di non tornare mai più libera. A fornire questo quadro dettagliato è Phil Robertson, vicedirettore per l’Asia di Human Rights Watch, e massimo esperto dei diritti umani nell’area. Ecco la sua testimonianza da Bangkok, in questa lunga notte della vicina ex Birmania.
Come descriverebbe la situazione attuale in Myanmar?
Un disastro assoluto con violenze e uccisioni in aumento. Le autorità sono tornate a compiere arresti sommari e torture. Il rispetto dei diritti umani è in caduta libera. La giunta birmana con a capo Min Aung Hlaing ha pugnalato alla schiena sia la politica che l’economia attraverso il colpo di Stato. Da allora la situazione è precipitata. All’inizio con massicce e pacifiche proteste in tutto il Paese la popolazione ha dimostrato di non volere di nuovo un governo militare. Si è accesa una speranza, subito cancellata dal ricorso alla violenza da parte dei militari.