La multinazionale siderurgica italiana ha continuato a operare in Russia dopo l’invasione dell’Ucraina e in Myanmar dopo il golpe del 2021, sostenuto dal regime russo.
Danieli, dal Myanmar alla Russia il passo è breve, perché?
La multinazionale siderurgica, con sede centrale a Buttrio in Friuli Venezia Giulia, continua a operare nell’ex Birmania anche dopo il golpe del primo febbraio 2021 che ha rovesciato il governo legittimo. La giunta militare golpista con a capo il generale Min Aung Hlaing, del resto, è sostenuta militarmente, finanziariamente e politicamente dal regime russo di Vladimir Putin, oltre che da Cina e Iran.
E come spiega un articolo di Repubblica di oggi (che riprende un’inchiesta di Kyiv Independent e del sito investigativo olandese Follow The Money), Danieli ha contribuito a modernizzare l’industria bellica russa anche dopo l’invasione dell’Ucraina.
È vero che nel frattempo Danieli ha siglato un accordo con una holding ucraina per costruire un’acciaieria green a Piombino, ma questo non giustifica le sue attività recenti in Myanmar e in Russia, rispettivamente dopo il colpo di stato e dopo l’invasione dell’Ucraina. Anche perché l’Ucraina non è sanzionata, la Russia sì.
Bisogna anche specificare che Danieli è presente nell’ex Birmania dagli anni Settanta, quando altre giunte militari opprimevano il Paese asiatico e da cui – dopo una parentesi di transizione democratica fra il 2012 e il 2021 – è scaturito il regime attuale.
ll rapporto “Silenzi Colpevoli”
Nel rapporto “Silenzi Colpevoli” dell’associazione Italia-Birmania.Insieme, presentato a ottobre dalla segretaria generale Cecilia Brighi, si legge: “Il rapporto mette in luce la scelta politica da parte del gruppo DANIELI & Co S.P. A (di seguito DANIELI) di continuare a fare business in un paese (il Myanmar) sotto violenta dittatura, accusata di crimini di guerra e contro l’umanità e la possibile profonda e reiterata violazione delle norme internazionali sui diritti umani, tra cui i Principi ONU su Business e Diritti Umani, delle Linee Guida OCSE sulle Multinazionali 2011, della Dichiarazione tripartita ILO sulle Imprese Multinazionali e delle misure restrittive della UE”.
In Myanmar Danieli collabora con la Myanmar Economic Corporation (MEC), un conglomerato sotto il diretto controllo del Ministero della difesa, e con il Ministero dell’industria, i cui ministri fanno parte della attuale giunta militare birmana (SAC).
La situazione in Myanmar
La giunta in quasi tre anni ha compiuto innumerevoli abusi, tra i quali arresti sommari (di civili e di diversi politici eletti come Aung San Suu Kyi della quale non si hanno più notizie dal gennaio scorso e il presidente Win Myint), esecuzioni capitali, torture, stupri, repressione del dissenso, uso di mine anti-persona, bombardamenti e attacchi a scuole, ospedali, chiese, pagode, infrastrutture, massacri, uccisioni sommarie.
Osservatori locali sostengono che la pulizia etnica e il genocidio dei Rohingya, popolazione musulmana da sempre perseguitata in Myanmar e costretta a fuggire in massa nel 2017, sia stata orchestrata dai militari per mettere in difficoltà Aung San Suu Kyi e preparare il terreno al colpo di stato del 2021.
Come quella ucraina, la crisi del Myanmar è una delle più gravi al mondo. Gli sfollati sono più di 3 milioni. Le persone bisognose di assistenza umanitaria 18 milioni e 600mila, ovvero circa un terzo della popolazione di 54 milioni di abitanti. Nel giugno 2023, si contavano 6.337 i civili uccisi ma potrebbero essere molti di più. Gran parte della popolazione e delle minoranze etniche si stanno ribellando. La resistenza armata e non violenta si è estesa a tutto il Paese asiatico. Non era mai accaduto prima in tali proporzioni. E dall’Operazione 1027, del 27 ottobre scorso, le milizie anti-regime stanno infliggendo pesanti sconfitte ai militari del Tatmadaw, l’esercito governativo.
La giunta vacilla. Il Governo legittimo di Unità Nazionale è impegnato in un’intensa attività diplomatica. Molti colossi internazionali – per esempio Chevron, Total Energies, Nestlé – hanno chiuso le loro aziende e altre hanno annunciato che lo faranno.
Al tempo stesso compagnie cinesi e tailandesi stanno espandendo le loro produzioni, ma a quale prezzo? Tantissimi lavoratori si sono uniti all’opposizione o sono ora trattati come schiavi. Non godono più di alcun diritto. Gran parte della popolazione spera ancora in una caduta della dittatura e nella transizione democratica che era stata faticosamente avviata un decennio fa.
Ritornando a Danieli, alcune domande sorgono spontanee:
Danieli ha goduto di deroghe per proseguire le sue attività in Myanmar? E se ne ha goduto, potevano esserci deroghe? In tal caso decise da chi?
Anche in Russia, Danieli non si sarebbe curata delle sanzioni. Come mai?