Fatos Lubonja è tra gli scrittori più noti di quest’Albania postcomunista, in bilico tra nord e sud del mondo
Cinquantasei anni, diciassette di lager al tempo della dittatura di Enver Hoxha, una laurea in fisica e due prestigiosi premi letterari, il Moravia e l’Herder. Vive in una casa quasi in centro, a duecento passi da piazza Scanderbergh, il cuore di Tirana. La barba corta, curata, gli lascia le guance libere, in un viso ovale e preoccupato, mentre da dietro i suoi occhiali guarda scatole, scatolette, bracciali, ciondoli che ha scolpito nella noce e cartine di sigarette su cui ha scritto un romanzo al tempo della galera.
“Ho una visione ottimista e tragica del mio Paese – dice Lubonja con un tono cordiale – anche se qui intorno le case sono fatiscenti, le strade sommerse dal fango solo perché ieri è piovuto e la gente deve inventarsi come sopravvivere”.
Il Paese delle Aquile sogna di entrare nell’Unione Europea, anche se a guardarlo oggi non sembra possibile che siano solo poche miglia marine a separarlo dalla Puglia. Il venticinque per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà e infrastrutture, strade, ponti, fognature, acquedotti, impianti di irrigazione sono fantasmi di un altro secolo. La stampa internazionale si è dimenticata di questo angolo di vecchio continente, devastato da una corruzione dilagante e nel quale non è chiaro ancora quale sia il tasso di alfabetizzazione.
Lubonja oggi dirige una rivista, “Perpjekja”, parola traducibile a stento in italiano, con qualcosa che sta tra “tentativo e impegno”.
L’Albania cerca un posto nell’Unione Europea e nella Nato. Ci sono gli standard per farlo?
Gli standard non ci sono ancora. Il desiderio di entrare nella Nato e nell’Unione Europea sostituisce oggi l’ideologia comunista di un tempo. I politici lo usano come strumento di potere e di retorica. Nessuno pensa al come ed ai problemi che una soluzione del genere comporterebbe. E’ un miraggio, come lo è stato il comunismo. Qui si fa poco per costruire un Paese dove la qualità di vita e i diritti siano paragonabili a quelli dell’Europa.
Quindi cosa accade?
Qui non abbiamo acqua e luce, siamo oppressi da inquinamento, povertà, crimine diffuso e organizzato. Non userei però la parola standard. Anche l’Europa di Bruxelles ha dei problemi. Oggi possiamo erroneamente prendere come unità di misura dei codici generali, fare bene i compiti a casa e poi andare a fare un esame per essere ammessi. Oppure possiamo camminare insieme. L’Albania deve essere concepita come una parte dell’Europa affinché entrambe ne traggano benefici.
Lei è stato privato della libertà per 17 anni. Oggi, dopo 15 anni dalla caduta del regime comunista, a che punto è il processo di affermazione dei diritti umani in Albania?
Quando vado all’estero parlo sia con altri albanesi che con occidentali. I miei connazionali nutrono un senso di frustrazione perché vorrebbero trovare un giudizio positivo sul nostro Paese. Agli altri, agli occidentali, non si possono raccontare favole e dipingere un quadro ottimistico della situazione. Così mi limito a dire: l’Albania di oggi è meglio di quella comunista, ma non è il sogno che cercavamo. Non esistono più prigionieri politici. L’economia non è più pianificata, ci sono partiti, media privati, una televisione pubblica più aperta e le frontiere non sono più chiuse. Ma sono queste vere libertà o un modo di “Escape from Freedom”, ovvero di evadere dalla libertà come direbbe Erich Fromm?
In che senso?
L’Albania non è più isolata come quindici anni fa, ma continua a esserci un isolamento culturale ed economico. Adesso noi possiamo espatriare, ma sono gli altri che non ci vogliono. Verso la migrazione incontrollata l’occidente ha eretto una barriera, tanto che per chiunque di noi è molto difficile ottenere visti per uscire. C’è un’immensa differenza fra pochi ricchi e molti poveri. Una nuova nomenclatura sfrutta i cittadini. È una miscela di potere politico, finanziario e mediatico che si è concentrata in quattro mani, spesso le stesse della casta comunista di un tempo. I più giovani seguaci di Hoxha sono diventati oggi padroni in una società capitalista. Anche il mercato, in realtà, non è libero per l’intreccio di poteri che prende a modello il vostro Berlusconi, ma in modo ancor più selvaggio e incontrollato.
Infine, un cittadino non è libero se non ha cultura. Nel periodo post-comunista è cresciuto l’analfabetismo perché il sistema dell’istruzione si è impoverito. Il governo non investe e ci sono sempre più scuole private per soli ricchi.
Si è passati da un estremo all’altro…
Non ci sarà libertà, finché non sarà sconfitto il crimine organizzato. Se durante il comunismo lo Stato condannava a morte i dissidenti, oggi si finisce uccisi per traffici di droga e altri crimini. Una volta il nostro comunismo era il peggiore nell’Europa dell’Est, ma adesso abbiamo il peggior capitalismo.
Cosa pensa del maschilismo imperante, dello scarso rispetto per le donne e per i loro diritti?
Il regime comunista era una presenza capillare nella società. Nella sua ideologia c’era, per esempio, la condanna del Kanun, una legge orale delle società primitive e delle montagne che codificava per esempio la vendetta, dove lo Stato era assente. La famiglia patriarcale c’era anche nel periodo di Enver Hoxha, che era appunto un padre-padrone. Il nostro comunismo era una miscela di paternalismo e controllo capillare della popolazione. Però c’erano elementi di emancipazione per le donne. Erano obbligate a studiare e potevano lavorare fuori casa. Dopo la caduta del comunismo si è verificato un ritorno alle regole del clan, soprattutto nel nord. La latitanza di un potere centrale onesto e la criminalità come soluzione per continuare a vivere e guadagnare hanno reintrodotto il Kanun peggiorandolo. Alla base del traffico della prostituzione c’è il disprezzo e l’uso delle donne come merce, che distruggono però il concetto d’onore della famiglia sacro al Kanun. Un tempo anche la vendetta si faceva con una sola pallottola nel fucile, mentre ora si vedono giovani che fanno strage di più persone con un kalashnikov.
Quali valori mancano oggi alla società albanese?
I valori condivisi, quelli di libertà, eguaglianza, solidarietà. Il comunismo aveva distrutto le individualità e creato una società dove le persone avevano senso solo come soggetti anonimi di un grande collettivo obbligatorio. Dopo la caduta di Hoxha è sparito il modello sociale comunista, ma non ne è arrivato un altro. Si è prodotta una frammentazione della società e un caos dove si sopravvive con la violenza. Ne sono esempio il traffico senza segnali e semafori o il boom edilizio senza piano urbanistico. Solo dalla condivisione della cosa pubblica, può nascere un vero Stato.
Perché questi argomenti sono quasi tabù in Albania?
Gli albanesi sono molto divisi fra il riconoscimento di tutte queste problematiche e l’orgoglio identitario. C’è una schizofrenia fra la miseria del presente e la voglia di rivalsa. Quando Gianni Amelio girò “L’America” ci fu una reazione negativa. Gli albanesi non vogliono accettare di essere visti secondo uno stereotipo negativo, ma allo stesso tempo sono consapevoli delle difficoltà in patria e fuggono all’estero. La spazzatura che invade le strade o i furti di tutti i coperchi dei tombini sono i segnali di una crisi: noi siamo stati e rimaniamo tra un’incudine e un martello, tra comunismo e democrazia, non scegliamo e non ci ribelliamo.
Perché?
Per ragioni storiche. Durante il comunismo tutto era delegato allo Stato. Poi lo Stato ha cominciato a essere usato dai politici per arricchirsi e non per servire la popolazione. Oggi c’è un abisso fra la società disillusa e le istituzioni.
E’ stato fatto qualcosa per non perdere la memoria dei crimini commessi durante il regime comunista?
Si è fatto molto per dimenticarli. Ai gruppi di potere non interessa ricordare. Il primo ministro Berisha è un ex comunista e il capo dell’opposizione Edi Rama è figlio dello scultore di Enver Hoxha ed ha ereditato il partito comunista di Fatos Nano. Ci sono stati dei cambiamenti, ma parziali. Una società malata non può avere un approccio sano al passato. Churchill diceva: “Nei Balcani si produce più storia di quanta se ne possa assimilare”. La catarsi può avvenire solo quando produci storia e impari da essa. Noi dopo il comunismo abbiamo avuto le rivolte del ’97, la tragedia della crisi economica, il furto indiscriminato dei risparmi dei cittadini senza una sola condanna, ma con nuove e ripetute ingiustizie.
Da dove può arrivare un cambiamento?
Dall’osmosi con l’Europa. Al momento l’Albania non possiede una capacità autonoma per riformarsi, ma per fortuna si trova in una collocazione geopolitica che la porterà a subire le ‘interferenze’ dell’Europa. Sarà un processo lungo e dipenderà molto da come crescerà l’Unione Europea. Al momento però anche questo è un mistero.