A 81 anni Agnès Heller è una delle più grandi testimoni del nostro tempo. Dopo essersi salvata dalla persecuzione antisemita, la filosofia per lei è diventata un’urgenza. Il bisogno di trovare una risposta ai fatti più tragici del XX secolo l’ha portata a diventare allieva di Gyorgy Lukacs ed esponente della Scuola marxista di Budapest.
Da sopravvissuta all’Olocausto sentiva che doveva pagare il suo “debito” verso chi non c’era più, come suo padre, morto ad Auschwitz. Poi, a causa dell’opposizione al regime comunista ungherese, è arrivato l’esilio, un’occasione, suo malgrado, per esplorare l’Occidente: a New York ha ricoperto la cattedra che fu di Hannah Arendt. Al Festivaletteratura di Mantova la Heller ha rivelato a East – in un’intervista esclusiva – un nuovo aspetto del suo pensiero.
Partendo dall’assunto che le persone buone esistono – come scrive nel suo ultimo libro La bellezza della persona buona, edito da Diabasis – si è interrogata sui rischi del presente. “Perché oggi abbiamo paura della libertà? Il fondamentalismo sta davvero crescendo? C’è il pericolo di un nuovo Olocausto?”.
Ecco le sue risposte.
Crisi economica nel Nord del mondo, migrazioni disperate dal Sud e divario crescente fra ricchi e poveri. Come definirebbe la nostra contemporaneità?
Il conflitto fra Oriente e Occidente non è più uno scontro economico. La Cina possiede la più grande quantità di dollari e l’India sta crescendo in modo estremamente veloce. L’economia non è la principale causa delle differenze. Certamente l’immensa povertà dell’Africa è la più grande vergogna del pianeta, ma non è il tema principale della divisione contemporanea. Oggi assistiamo non tanto a una guerra di culture, ma fra religioni. I movimenti islamisti sono sempre più antisemiti e anticristiani, e il Corano stava per essere bruciato negli Stati Uniti su invito di un pastore folle. Si tratta di un nuovo fenomeno. La vera divisione è causata da totalitarismo e fondamentalismo.
Quest’ultimo come si manifesta?
Non è necessariamente legato alla religione. Ci sono gruppi radicali di destra che non hanno alcun credo religioso o movimenti latinoamericani di sinistra estremisti ma atei. Di sicuro, però, l’estremismo è presente in tutte le religioni ed è una risposta a un mondo senza fondamenta che teme la libertà.
Ovvero?
Prima dell’illuminismo si pensava di vivere in un mondo creato da Dio dove i regnanti erano suoi rappresentanti sulla terra. Con l’inizio dell’era moderna, invece, è emerso un nuovo tipo di discorso dove ogni cosa può essere spiegata con la ragione. Il problema è che fondamenta rigide della civiltà non possono mai essere trovate razionalmente. Un mondo senza fondamenta è un luogo senza certezze. L’aspetto positivo è che sei più libero, ma al tempo stesso hai paura della libertà. Ti senti fragile sulle tue gambe perché libertà significa responsabilità e spesso non riesci a reggerne il peso. In questo contesto nascono i dittatori populisti, di solito uomini comuni che si sono fatti da soli.
La destra è quasi ovunque al potere in Europa. Si può parlare di crisi della sinistra e dei suoi ideali marxisti?
Dopo la seconda guerra mondiale i valori marxisti non sono stati più rilevanti. I partiti di sinistra sono diventati per lo più socialdemocratici. Poi, è vero, hanno perso. Non hanno più prodotto idee nuove. Dopo gli anni sessanta, in cui si sono raggiunti grandi traguardi nell’emancipazione, il processo di civilizzazione si è esaurito. La sinistra attuale non vede i problemi e per questo non può trovare soluzioni. Si consideri per esempio l’integrazione: in Usa è eccellente, mentre in Europa è pessima. Per combattere il razzismo non bisogna nasconderlo sotto il tappeto, ma guardarlo negli occhi.
In Europa ci sono nuovi movimenti e partiti di estrema destra come il Jobbik ungherese accusato di essere anti-semitico, anti-rom e omofobico. Come spiega la sua ascesa?
Il Jobbik è un partito di estrema destra, razzista, antisemitico e soprattutto anti-rom. Vuole introdurre in Ungheria delle leggi razziali. Rappresenta una minoranza, ma ha tanti seggi in parlamento da influenzare la politica nazionale. Questo successo è legato al bisogno di populismo. La gente vuole uomini forti che dicano cosa fare e come vivere. Li sceglie perché pensa di raggiungere ricchezza e benessere. Sposa il loro nazionalismo e trova in questo un nuovo fondamento.
La cultura, celebrata al Festivaletteratura, può essere un antidoto efficace contro totalitarismo e razzismo?
Dipende da cosa si intende per cultura. Secondo gli antropologi ognuno ha una cultura, ogni tribù, ogni movimento, i nazisti stessi. Molti rappresentanti della cultura alta europea hanno sostenuto Hitler, Mussolini, Stalin, Franco.
Allora cosa ci può salvare?
Il credo repubblicano, il senso civico, la consapevolezza di cosa vuol dire essere cittadini. La democrazia deve essere difesa e insegnata ogni giorno, perché non è naturale dal punto di vista politico. Il suo edificio non ha fondamenta. È una scelta che richiede responsabilità: dobbiamo sottoscrivere la frase “tutti gli uomini sono nati liberi” ancora e ancora.
Ma dobbiamo temere un nuovo Olocausto?
Ogni cosa che è già stata sperimentata può accadere di nuovo, perché può diventare un modello per il futuro. Ogni cosa è possibile specialmente in epoca moderna, dove il totalitarismo costituisce un punto di riferimento per una formazione politica. Il razzismo è uno dei pilastri del totalitarismo e non si può sperare che quest’ultimo sia sparito per sempre in Europa. Può tornare con un massacro di massa, anche se l’Olocausto deve essere considerato un evento unico e legato a un contesto storico preciso.
Dove ha trovato la forza per resistere alla persecuzione nazista e successivamente a quella del regime comunista?
Sotto il nazismo ho avuto fortuna, ma la mia esperienza di ebrea perseguitata mi ha aiutato a solidarizzare con coloro che erano minacciati durante il comunismo. In seguito all’Olocausto ho fatto un patto con la giustizia che mi ha permesso di oppormi al regime.
L’11 settembre 2001 si trovava a New York. Come ha vissuto quel giorno?
Ho provato uno shock terribile perché mio figlio era molto vicino alle torri gemelle. Quando è rientrato mi sono concentrata sulla capacità delle persone di organizzarsi in modo volontario e in così breve tempo. Non era solo solidarietà, perché questa la si vede in tutte le catastrofi, ma anche incredibile autonomia di gestione. La gente si è rimboccata le maniche: ha creato un punto di incontro, ha fatto delle collette per chi era in difficoltà, ha aperto un centro di assistenza.
Questa energia sembra mancare ai giovani europei. Sono così oppressi dal senso di precarietà da non riuscire a ribellarsi. Siamo diventati un continente senza speranza?
L’Europa, e ne è esempio Mantova dove ora ci troviamo, è un meraviglioso museo, ma bisogna vedere quanto sia collegata col presente. Mi preoccupa lo scetticismo degli europei. Non credono in niente e desiderano solo migliorare le loro vite. Ma soprattutto non credono nella libertà. Stanno diventando sempre più indifferenti. Spero che l’Europa abbia un futuro, ma mi chiedo di che tipo.
Come si può superare questo limbo?
Pagando un prezzo. In passato le cose sono state cambiate con le guerre civili, ma gli europei non sono pronti a pagare alcun prezzo.
Unione Europea, Europa dell’Est, Europa dell’Ovest, ma che cos’è veramente l’Europa oggi?
Non mi interessano queste definizioni. All’Europa appartengono diverse identità. Si definisce cristiana e non pagana, liberale e non dottrinaria, amante della libertà e non totalitaria, illuminata e non colonialista…
Ha detto che cultura e filosofia ci sono solo grazie alla condivisione. Qual è oggi la situazione in Ungheria e negli altri Paesi ex comunisti?
I Paesi comunisti erano i più individualisti. Le persone vivevano nel timore. Non avevano fiducia negli altri e non potevano dire cosa pensavano. Ogni comportamento era automatizzato anche quando si trattava di partecipare ai raduni. Il cambiamento è arrivato con l’opposizione democratica che progressivamente ha fatto crescere la solidarietà, un senso di comunità e la condivisione.
Un’altra virtù, la bontà, è oggetto delle sue ultime riflessioni. Chi sono oggi le persone buone?
Quelle che si scelgono come tali. Sono d’accordo con la definizione data da Socrate: “è buono chi preferisce subire un’ingiustizia piuttosto che commetterla”. Certo, nessuno è perfetto, ma l’importante è essere consapevoli di quanto si è distanti dalla bontà. Sono buone le persone perbene.
Come immagina una società migliore?
L’eguaglianza di per sé è un non sense se non si specifica in cosa si deve essere uguali. Io ho lottato per l’uguaglianza nei diritti, intesi come emancipazione degli ebrei, degli operai e delle donne. È assurdo, però, parlare di uguale reddito. Ciò che ognuno deve avere è un sostentamento per la casa, il cibo e l’educazione dei figli. La povertà è una categoria relativa. Dipende dalla struttura dei bisogni. C’è chi si ritiene povero perché non può comprare il cellulare al figlio. È giusto quindi il necessario, cioè che ognuno abbia una vita non straordinaria ma dignitosa.